Descrizione breve
pp. 120, cm. 15 x 21 cm, brossura
Il mio nuovo incontro con questa trepidante e incrinata poesia di Antonio D’Elia è già subito convincente della sua piena dimensione novecentesca – ma, chissà, nel terzo millennio questo potrebbe anche farsi istituzionale – come segno della ‘variazione’, nel solco di quella definizione che ne dava Oreste Macrì. Per il quale bisognava ben distinguerla dall’affanno correttorio della “variante”, anch’essa soluzione altro di sé per una migliore progressione verso il mito ideale dell’ultima lezione “ne varietur” – che rende tanto difficili le edizioni critiche dei poeti del secolo scorso – almeno, soddisfacente se non perfetta, compiuta. Per due esempi, la cura premurosa di Ungaretti per le “poesie disperse”, e il lavoro incalzante di interminato ricambio di Alfonso Gatto.
Il gioco della ‘variazione’, invece, ha un carattere più sperimentale alla prova di sé con (quasi) tutti i possibili altro di sé e altro da sé, come serie infinita di conati di esplorazione in parole altre, e soprattutto, le stesse (con ulteriori diversi significati), delle ugualmente infinite elaborazioni di un tema, di una figura, di una lettura o angolatura diversa. È come supporre o predisporre altre vite, altre dimensioni, altre soluzioni, esperienze, conclusioni e altre prospettive interminate, chissà, per nuove sognate aperture sul tempo e sulla persona… (dalla prefazione di Gaetano Chiappini).