Descrizione breve
formato cm 12x17, pp. 64, illustrato a colori
L’abbazia dei SS. Niccolò e Cataldo fu fondata dal conte di Lecce Tancredi, ultimo della stirpe normanna degli Altavilla, entro il 1179, perché del settembre successivo, il 1180, è il diploma costitutivo ufficiale come, tra l’altro, è ricordato da due sibilline epigrafi in versi leonini, ritenute l’esempio stilisticamente più compiuto di tale scrittura celebrativa.
Nell'epigrafe sul portale laterale che immette nel chiostro del XVI secolosi è voluto individuare il “mastro” o l’architetto che, per conto di Tancredi, innalzò il complesso conventuale che, come quello coevo del duomo di Monreale, fu affidato ai benedettini e arricchito di un notevole patrimonio costituito da possedimenti che confinavano con la nuova fondazione, prossima alla città, e arrivavano fino alla marina. L’abbazia dipendeva direttamente dalla Santa Sede. L’incremento del patrimonio fu sempre costante nel tempo e Ugo di Brienne, per esempio, donò il fiume Idume compresi i paludosi terreni confinanti. La vita del monastero scorse, nei decenni successivi, tra alti e bassi, e di questo periodo ricordiamo soltanto l’abate Tommaso Ammirato che il 1429 fu eletto vescovo di Lecce. Verso la metà dello stesso secolo la chiesa fu affrescata, ricoprendo precedenti cicli pittorici, con scene dei titolari della stessa, mentre il 1463 fu trasferita nei suoi pressi la fiera dell’Annunziata che si teneva a Cerrate. Alla fine del secolo, precisamente l’8 settembre 1494, il monastero fu affidato ai benedettini della congregazione di Monte Oliveto – donde Olivetani – mentre era vescovo di Lecce Marc’Antonio Tolomei.
L’Infantino (1634) scrive che da questa data in poi il complesso conobbe una nuova vita specialmente dal punto di vista spirituale, mentre la chiesa fu provvista di un nuovo coro, di un nuovo e più vasto ciclo di affreschi e vengono ricostruite completamente le strutture conventuali realizzate verso la metà del XVI secolo, opera attribuita a Gabriele Riccardi. Poco dopo fu ricostruita la sagrestia (1580) crollata improvvisamente. In poche parole, il complesso conventuale assunse la fisionomia che ancora oggi conserva. Negli anni Trenta del Seicento la chiesa accolse ben due monumenti, oggi uno sparito, dedicati entrambi al più famoso poeta epico leccese, Ascanio Grandi, che aveva composto il lunghissimo poema Il Tancredi (1636). Negli stessi anni si realizzò il famoso “pozzo a baldacchino” al centro del chiostro attiguo alla chiesa. Nel 1716 la facciata ancora medievale della chiesa fu “barocchizzata” da Giuseppe Cino che risparmiò il rosone e il portale al quale fu appoggiato un pesante gruppo scultoreo rimosso nel corso dei restauri ottocenteschi. Alla fase dei lavori del primo Settecento appartiene invece l’arioso scalone (1738) che porta agli ambienti monastici superiori. Soppresso nel 1807, il complesso pervenne al collegio gesuitico di S. Giuseppe e quindi affidato ai padri della Missione (fino al 1815). Seguì un lungo periodo di abbandono fino a quando l’area non fu scelta per costruire il cimitero monumentale della città (propilei, 1845). I locali furono invece affidati ai Cappuccini che vi realizzarono un ricovero di mendicità. Secondo l’epigrafe apposta nei pressi dello scalone monumentale, quando il 12 dicembre 1922 Umberto di Piemonte visitò chiesa e monastero, qui si era stabilito un “Asilo di Carità” dove trovavano accoglienza anziani poveri e soli come ne scrisse Vittorio Bodini nel suo racconto Il sei-dita.
Il Comune di Lecce, proprietario del complesso, ormai abbandonato, nel 1985 lo concesse per 60 anni all’Università di Lecce vincolandolo a destinazione universitaria. I complessi lavori di restauro a cura dell’arch. N. Barletti iniziarono nel 1991 e nel 1994 cominciò l’attività didattica che dura ancora oggi.