Descrizione breve
formato cm 17x24, pp. 260
ÔΙστορι´η - Collana di Studi e Monumenti
per le Scienze dell’Antichità, 7
Introduzione, traduzione e commento
a cura di Enrico Baldassarre
Prefazione
Giovanni Laudizi
Argomento sempre attuale quello della felicità, dibattuto anche oggi nella nostra società consumistica, ma già trattato nelle scuole filosofiche dell’Atene postsocratica e poi in ambiente romano, dove Cicerone prima e poi ancora di più Seneca lo affrontano in modo chiaro ed univoco. Il De vita beata, appunto, è la risposta di Seneca agli interrogativi più comuni su ciò che ci dà la vera felicità, facendo luce sulla strada giusta da intraprendere per conseguirla, fugando le opinioni della gente comune di cui dimostra stoltezza e fallacità.
La felicità non consiste nei piaceri, come invece sostenevano gli epicurei male interpretando gli insegnamenti del loro Maestro, anzi coloro che si abbandonano ad essi ne sono dominati, quindi ne diventano schiavi: è il caso, ad esempio, di chi ritiene erroneamente che le ricchezze diano felicità e non si accorge invece che esse condizionano la vita.
Perché allora Seneca, che vive nel lusso, non si priva delle sue ricchezze accontentandosi del necessario? Perché parla in un modo e vive in un altro? E Seneca risponde ai suoi numerosi detrattori ammettendo l’utilità della ricchezza come mezzo per potere agire con liberalitas e humanitas: il saggio non deve respingere la generosità della fortuna che gli consente di fare del bene a chi è meno fortunato. Tuttavia il Nostro confessa onestamente di vivere ancora avvolto in mille difetti, in quanto non ha ancora raggiunto la sapienza, ideale cui aspira liberando ogni giorno il suo animo da parte dei vizi che lo opprimono, in un percorso che richiede molta fatica. Una confessione umana - non comune nei filosofi dell’antichità - che lo fa sentire a noi molto vicino.